giovedì 24 luglio 2014

[Live Report] The National + Sam Fermin @ Ferrara Sotto le Stelle


Per una parte del concerto dei National, sono rimasto in (piacevole attesa) di QUEL momento.
Quello scatto d'intensità, quel qualcosa di speciale.
Non che mancasse niente, quando si parla di National si parla ormai di una band con cui si va sul sicuro: ci sono i pezzi, ci sono i suoni, c'è l'esecuzione che si concede sempre qualche sorpresa (in questo caso siamo al terzo brano, Ada, che sfuma in Chicago di Sufjan Stevens, omaggio ben gradito). C'è la classe.

Ma è abbastanza evidente che dopo la prima volta (stessa Piazza Castello, dopo una sontuosa apertura con i Beirut e in uno evidente stato di grazia) e la seconda (recente, frenetica, sporca nella tecnica quanto intensa nella performance quasi rabbiosa o forse estatica, forse alcolica del Primavera Sound di Barcellona) fino ai bis, c'è stata un pò aria di normalità.
Non si vuole scrivere di stanchezza, ma in un tour che segue da ormai un anno abbondante l'uscita di Trouble Will Find Me (e più di 120 date ad oggi) non può che esserci mestiere, piacere di suonare.
E poche parole, in fondo, se non l'inevitabile (ma crediamo onesto e sincero) omaggio alla location.
Almeno fino ai bis.

Ma non possiamo dimenticare, qualche ora prima, un'altra apertura degna di nota: Sam Fermin, nome abbastanza chiaccherato in questi mesi dopo il primo, interessante disco, mette in scena quarantacinque minuti interessanti, tra intimismo ed esplosioni sonore capaci di raccontare qualche frammento magari confuso e parecchi interessanti. I due inediti, già prontissimi per l'album in uscita nel 2015, convincono non poco e l'idea è che con qualche aggiustamento il nome possa diventare tra quelli che non sono più di spalla, ma che meritano uno spazio tutto loro nei cartelloni.

Tra la loro fine e QUEL momento, c'è una piazza con poco meno di tremila persone, nuvole scure in cielo e qualche goccia esitante che si nasconde subito.
E venti brani, a pescare da Alligator in poi, senza dimenticare About Today dall'ep Cherry Tree datato 2004, che prelude alla sempre inconfondibile, imponente Fake Empire (a parere di chi scrive, uno dei pezzi da ricordare di questi anni).
E, se si vuole, una menzione a quella batteria incredibile di Squalor Victoria, che diventa protagonista principale e ricorda l'abilità di Bryan Devendorf.

Poi, QUEL momento.
Primo passo, Santa Clara, brano bonus dell'edizione giapponese di Boxer, suonata finora 17 volte su 560 concerti presenti su setlist. Vedi alla voce: dolci chicche.
Secondo passo, Mr November e Matt che toglie il freno a mano, scende dal palco, scivola a sinistra, entra nella piazza, i tecnici e la gente a sorreggere il microfono (no, non a proteggerlo, non c'è tempo e forse modo) e la piazza che perde gli schemi, gruppi che si muovono, cantano, riprendono un brano che diventa urlo, in un percorso senza logica tra le ali di folla che fanno a gara per cantare il brano.
Terzo passo, Terrible Love, un brano strano, bellissimo, anche su disco quasi imperfetto nei suoni eppure perfetto melodicamente, che diventa apoteosi di suono, crescendo, intensità, persino pioggia nelle gocce che tornano più decise a fare capolino sulle ombre di luce del palco. Non interessa a nessuno.
Quarto ed ultimo passo, rito collettivo quanto atteso, scontato quanto memorabile, Vanderlyle Crybaby Geeks, come tre anni fa, la sola chitarra amplificata, il muro dii folla a cantare insieme alla band, uniti, con l'asta del microfono che diventa amplificatore della melodia, omaggio ai fans, apoteosi di un amore sbocciato anno dopo anno per questa grande band.

Tutti contenti, alla fine. Un'altra volta ancora.

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