venerdì 6 settembre 2013

[Letture] Il Fondamentalista Riluttante - Mohsin Hamid



Appena incrociato il titolo (ad onore del vero, si trattava del trailer della trasposizione cinematografica del film) il pensiero è stato immediato: uno dei più riusciti che io ricordi, un titolo di quelli che ti fanno comprare subito il libro appena visto.
In due parole, un mondo: il fondamentalismo, che ci evoca terrorismo, morte, sprezzo della propria vita per una causa migliore, assenza di una ideologia se non di quella della distruzione.
La seconda, riluttante, che ci fa pensare a indecisione, paura, senso di inadeguatezza, stasi.

Curioso quindi che l'unico (ma non piccolo, in fondo) difetto di questo secondo libro di Mohsin Hamid (Pakistano) sia quello di non esplodere mai.
Non è ovviamente (o forse si) un facile gioco di parole.
Il fondamentalista riluttante è Changhez, narratore lungo una conversazione con un interlocutore misterioso che non apre mai bocca (stile originale e ben gestito dall'autore) che svela man mano una storia di un giovane pakistano alle prese con l'alta società americana.
Non nel senso negativo: si parla di una borsa di studio, dell'approdo a Princeton (tra i migliori college al mondo) della prima esperienza lavorativa, di un amore difficile quanto intenso.
E', in altre parole, la storia di un viaggio e dell'immersione in una cultura diversa, con l'entusiasmo di una mente aperta e sveglia e con una scrittura di grande sensibilità.
Ci affascina, Changhez, come non manca di farlo Erica, suo grande amore alle prese con i propri demoni, percorso che man mano dovrà intraprendere anche il nostro protagonista.
E' un libro dove il nemico (apprezzabile scelta, a conferma del buon titolo) non è mai fuori, nei personaggi, ma solo nella loro interiorità.

E quindi dove sta il problema?
Solo nel finale, nella spirale ascendente di una trama che parte dal passato fino a raggiungere il presente, l'adesso della narrazione, la fine della conversazione con l'interlocutore e poi poche righe, di sottointeso, di apertura verso una conclusione solo abbozzata e in cui pare mancare qualche passaggio narrativo..

Verso la fine del libro Changhez dice "Vuole sapere cosa ho fatto esattamente per fermare gli Stati Uniti?".
L'autore sceglie di non dircelo fino in fondo (non dirò di più) e in fondo è un peccato, come quelle canzoni che senti che potevano salire ancora un pelo di intensità e non lo fanno.
Ma la sensazione rimane grazie anche alla piacevolissima lettura precedente e quindi, rimane consigliata.

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