domenica 21 luglio 2013

[Live Report] Longitude Festival - Dublino - Giorno 1


Ci sono band che in Italia non vengono.
Non è passato ad esempio James Blake, per cui eravamo volati a Londra in Inverno e non sono più passati, negli ultimi anni, i Vampire Weekend, disertando l'Italia sia per il precedente album che per l'ultimissimo Modern Vampires of The City.
Così, la decisione: gli andiamo incontro.
L'occasione perfetta è la prima edizione del Longitude Festival, imparentato con il Latitude inglese e che porta a Dublino, o meglio nella periferia di Dublino, tre giorni di musica.
Un festival vero e proprio,di quelli che in Italia non si fanno, senza se e senza ma, e dove a parte il grande evento singolo (Vasco come Ligabue come Depeche Mode come i Radiohead) pare che tanto, tanto, sia davvero in crisi a livello musicale.

Non mancano invece coraggio e giovani a Dublino, così, al Marlay Park (una decina di km fuori dal centro della città) si allestisce una manifestazione da qualche migliaio di persone con un'ottimo cast al Main Stage, e svariati altri palchi nascosti tra gli alberi del parco, tra cui un palco Heineken dedito all'elettronica, un palco sponsorizzato Red Bull, un palco con comici e giocolieri e quant'altro.
Se a leggere pare un bel sogno, per gli italici standard, è tutto vero e nonostante alcune critiche lette sui social network, a noi pare ben organizzato: scaletta rispettata al minuto, spazi adeguati, gente civile, cibo e bagni in ordine e ben gestiti.
Si aggiunga un insolito sole quasi rovente (siamo in Irlanda, ma non si è comunque molto lontani dai trenta gradi) ed ecco il quadro completo.

Così, con una navetta gestita dal festival, entriamo in perfetto orario per sentire subito, The Cast Of Cheers (6) giovane quartetto locale, con un paio di album alle spalle e tanta gavetta.
Fanno un classicissimo indie rock inglese, ben suonato.
Poi è un momento cantautorale.
Prima Tom Odell (6) giovanissimo (classe novanta) autore con un più che discreto hype alle spalle e buone vendite del suo primo album: suona bene, bella voce, scrittura un pò acerba, qualche lampo tra Coldplay e (ci pare) Starsailor, specie nel modo di cantare.
Certo meno maturo di Jake Bugg (7,5) che in fondo non fa altro che ricantare con buonissimi risultati il proprio album di debutto ma se i pezzi sono, per buona metà della scaletta, degli instant classic, non si può che applaudire ad una esibizione umile quanto convincente.

E ad essere onesti, non è nemmeno vero che suona solo il proprio album: sono ben tre gli inediti, tutti ben riusciti e che sembrano fare intravedere un maggiore uso della chitarra elettrica.
Il futuro è tutto suo.

Siamo a metà pomeriggio ed è il turno di un altro gruppo atteso, i Django Django (7): le aspettative erano altissime, invece il risultato è in bilico, per un semplice motivo: se è stata ottima tutta la parte ritmica, molto meno convincente la parte vocale.

Sia un problema fisico o un livello generale è difficile saperlo, fatto sta che se dietro la batteria si picchia forte e la voglia di ballare c'è tutta, Vincent Neff e soci rendono meno la vocalità dei pezzi, lasciando un pelo di rammarico.
E poi ci sono i Foals.
Foals, Foals, Foals. (5?).

Era uno dei gruppi che avrebbero dovuto dare più soddisfazioni.
Potenti, nel pieno della maturità, acclamati come avrebbero dovuti essere (sul suolo italico,ad esempio) sin dai primi splendidi due album.
Invece appaiono presuntuosi, inutilmente pomposi, fin troppo elettrici, intenti a trasformarsi da band originale e insolita ad ariosa rock band.
Suonano bene, sicuro, ma perlomeno per chi scrive, non c'è stata connessione, empatia, divertimento.
La conferma finale è con il brano di chiusura, Two Step Twice, che dovrebbe essere (come su disco) una lenta scalata fino a fare esplodere tutti sotto il palco e invece diventa una inutile, dilatata e poco riuscita cavalcata che non fa esplodere per niente, perdendo tutto il fascino di un brano che pure è già scritto alla perfezione.
Insomma: boh, delusione.

Quella che invece non riservano i Phoenix (7), che pure in teoria potevano dare meno aspettative (per il suono e per l'ultimo album, non granchè) e che invece si dimostrano divertenti e padroni della materia.
Con un più che discreto Tomas Mars alla voce, qualche scelta visuale semplice quanto d'impatto e il loro elettro pop fanno divertire e ballare.

A fine giornata siamo ben contenti, complice anche la rilassatezza generale del pubblico che consente di muoversi agilmente, vedere ugualmente i concerti da vicino, con educazione e serenità.
E soprattutto, mentre torniamo con la nostra navetta il pensiero va al giorno successivo: altre ore di buona musica e poi finalmente i Vampire Weekend.

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