mercoledì 22 maggio 2013

[Serie Tv] The Big C


E', curiosamente, la seconda volta quest'anno che mi trovo a scrivere di morte, in una serie tv.
E' curiosamente la seconda volta che si tratta di una serie giunge ad una chiusura dichiarata in anticipo, dove sai (all'incirca) pure cosa succederà.
Se la prima occasione era stata con Spartacus e si trattava dunque di storia, di tempi antichi, di eroismo, qui parliamo invece di The Big C.
C come Catherine, interpretata sontuosamente da Laura Linney (Golden Globe nel 2011), nostra protagonista e C come Cancro, malattia che invade la trama della serie sin da subito.
Di questo parla The Big C: del percorso di una persona che si trova ad affrontare un tumore, del tentativo di curarsi, dell'assenza del rimedio, della sua morte.
La forza della serie è quella di riuscire a vestirsi in qualche modo da Dramedy: riesce a farci sorridere, di tanto in tanto, come Benigni nella Vita è Bella.
Supera, senza farsene problemi, i tabù dei detti e non detti, in una sceneggiatura efficacissima che porta in scena una protagonista sfrontata, tanto smarrita nel suo percorso di malattia quanto decisa ad affrontarlo, sviscerarlo, gettarlo in pasto alla sua quotidianità.
Catherine, in questi quattro anni che stanno per concludersi attraversa tutte le fasi: il rifiuto, l'evasione, la speranza, il dolore.
Si allontana dal marito per non ferirlo, si avvicina al figlio, per non avere rimorsi, la vediamo circondata da personaggi ben scritti e recitati: l'indimenticabile vicina Marlene, lo strepitoso fratello Sean (anticonformista all'eccesso) la giovane Andrea capace di diventare qualcosa di vicino ad una figlia adottiva.
Raccontare di una Cathy che, in questo momento (a due puntate dalla fine) si sta preoccupando di trovare una futura compagna al marito (perchè sei un buon marito) può sembrare inspiegabile, ma ci sta nell'economia della vicenda.
Una storia di un grande percorso personale, di vita, di mille direzione diverse, di confusione, di emozionanti momenti (la chiusura della prima stagione, senza rivelare niente, è di una tenerezza sconcertante), una storia che non indugia in retorica, in facili musiche tristi, no,è capace di ergersi sopra una protagonista che affronta con (quasi) assurda serietà e preparazione le fasi di un lungo addio ai propri cari e alla vita.
Una serie sulla morte capace di essere viva, enormemente viva, con rarissimi finali di ritmo e un finale che sembra in grado di mantenere ogni qualità mostrata finora.
Meglio scriverne ora, dunque, che non dopo, perchè come la malattia sai che ti colpisce e pure fa male, sarà complicato vedere una fine già scritta ma sicuramente straziante eppure dolce, eppure bella, a suo modo, come il ragazzo di American Beauty affascinato dallo sguardo di chi muore, sguardo in cui scorgeva la vita stessa.


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